martedì 15 ottobre 2019

Lidealismo etico di Fichte

Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) fa proprio il monito del filosofo tedesco Lessing che aveva riposto il valore della verità  non nel suo possesso ma, nello sforzo costante per raggiungerla. Fichte attribuisce a tale pensiero un significato morale, interpretandolo nel senso che "non vale nulla esser liberi; cosa divina è diventarlo!".


La vita stessa di Fichte può essere vista come l'esemplificazione di tale principio: essa appare infatti come uno sforzo per diventare, che il filosofo persegue a partire dalla giovinezza. Nato da una famiglia di contadini poverissimi, pareva destinato a fare il guardiano di oche. Ma il ragazzo sognava di diventare un giorno "pastore di anime". Aiutato economicamente da un signore del villaggio, riesce a frequentare l'università. Si reca a Koenisberg per ascoltare le lezioni di Kant e fargli leggere il manoscritto della sua prima opera, il Saggio di critica di ogni rivelazione, che comparso, anonimo nel 1792, venne scambiato per un'opera kantiana.


L'infinità dell'Io

Kant aveva riconosciuto nell’ Io penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Ma l’Io penso suppone già data l’esistenza ed è quindi un atto di autodeterminazione esistenziale; esso è quindi attività, ma limitata dall’intuizione sensibile. Fiche sostiene, che se l’Io è l’unico principio, non solo formale ma anche materiale del conoscere, se alla sua attività è dovuto non solo il pensiero della realtà oggettiva, ma questa realtà stessa nel suo contenuto materiale, è evidente che l’Io non è solo finito, ma anche infinito.
Per Kant quindi l’Io è finito, perché limitato dalla cosa in sé; l’Io kantiano è il principio formale del conoscere. Per Fiche l’Io è infinito in quanto tutto esiste nell’Io e per l’Io; l’Io fichtiano è il principio formale e materiale a cui si deve non solo la forma della realtà, ma la realtà stessa.

Il pensiero di Fichte: deduzione di Kant e Fichte


La deduzione di Kant è trascendentale, cioè giustifica le condizioni soggettive della conoscenza, mentre quella di Fiche è assoluta perché deve far derivare dall’Io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. La deduzione di Kant implica sempre un rapporto tra l’Io e l’oggetto fenomenico, mentre quella di Fiche pone un soggetto e l’oggetto fenomenico in virtù di un’attività creatrice, cioè di un’intuizione intellettuale. La dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo principio l’intero mondo del sapere, ma non deduce il principio stesso della deduzione, che è l’Io.

La Dottrina della scienza e i tre principi



Il concetto della Dottrina della scienza è quello di un sapere che mette in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Il principio della dottrina della scienza è l’Io o L’Autocoscienza. Noi possiamo dire che qualcosa esiste solo in rapporto alla nostra coscienza. La coscienza è tale solo in quanto è coscienza di se medesima, ossia autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell’essere e l’autocoscienza è il fondamento della coscienza. La prima dottrina della scienza è il tentativo di dedurre dal principio dell’autocoscienza la vita teoretica e pratica dell’uomo. Il primo principio di questa deduzione è ricavato dalla legge d’identità (A=A). Ma questa identità implica un principio ulteriore che è l’Io. Se A è dato, deve essere uguale a se stesso, e la sua esistenza dipende dall’Io che la pone, poiché senza l’identità dell’Io (Io=Io), (A=A) non si giustifica. Quindi il rapporto d’identità è posto dall’Io e non esiste se non si pone l’Io=Io, dato che l’Io non può affermare nulla senza prima affermare la sua esistenza. Il principio supremo del sapere è quindi l’Io, che si pone da se, dato che è autocreatore. L’Io è ciò che egli stesso si fa ed è allo stesso attività agente (Tat) e prodotto dell’azione stessa (Handlung). Quindi il primo principio sostiene che l’Io si identifica come attività infinita ed autocreatrice, il secondo stabilisce che l’Io pone il non-io (l’Io, oltre ad opporre se stesso, oppone qualcosa che gli è opposto, e che comunque, dato che è posto da lui, è in se stesso). Il terzo principio mostra come l’Io, avendo posto il non-io, è limitato da esso, come quest’ultimo è limitato dall’Io. L’Io oppone nell’Io, all’io divisibile (molteplice e finito) un non-io divisibile (molteplice e finito).

Idealismo fichtiano

Questi tre principi stabiliscono l’esistenza di un Io infinito, attività libera e creatrice, l’esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), la realtà di un non-io, cioè l’oggetto, che si oppone all’io finito. Fichte sostiene che esiste un Io, che per poter essere tale, deve presupporre il non-io, trovandosi ad esistere come io finito. Quindi la natura non è una realtà autonoma ma esiste per l’Io e nell’Io. Quindi l’Io risulta finito ed infinito allo stesso tempo: finito perché limitato dal non-io ed infinito perché il non-io, cioè la natura, esiste solo in relazione e dentro l’Io. L’Io infinito non è diverso dall’insieme degli io finiti nei quali esso si realizza.


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