sabato 28 dicembre 2019

Pensiero di Schopenhauer

Schopenhauer fa parte di un filone di pensiero che si oppone all'idealismo, e che non crede nella possibilità di spiegare razionalmente la totalità del reale.
La filosofia di Schopenhauer si può considerare da molti punti di vista romantica: vi è una forte componente di irrazionalismo, e vi sono anche numerose influenze del mondo orientale. La sua opera più importante è “Il mondo come volontà e rappresentazione”.

Schopenhauer si può considerare l'anti - Hegel, molto più di Marx, il quale resta molto legato all'idealismo. Marx rovescia completamente la concezione idealistica della materia vista come momento dello spirito, ma mantiene l'impianto dialettico, razionalistico di Hegel.
Schopenhauer, invece, fa il contrario: egli rifiuta l'impianto dialettico idealistico, e la pretesa di spiegare razionalmente la totalità, ma ritiene la materia un prodotto dello spirito. Il pensiero di Schopenhauer prende le mosse da Kant, soprattutto per quanto riguarda la distinzione tra fenomeno e noumeno.


Inizialmente Schopenhauer, come Kant, ritiene che la realtà abbia due facce: quella fenomenica e quella noumenica. Fenomeno [Vorstellung] Noumeno [Wille] Vorstellung è un termine che significa “rappresentazione”, ed ha al suo interno una sfumatura di teatralità. Per Kant la realtà fenomenica, quella che vediamo intorno a noi, non è la realtà ultima, ma è comunque ben fondata dal punto di vista razionale. Per Schopenhauer, invece, la realtà fenomenica non è razionalmente fondata, è illusione, è un fluire di scene che non hanno nessun peso, sono solo apparenza.

Il velo di Maya


E' il velo di Maya che ci fa vedere il mondo in un certo modo, ma in realtà esso è solo un sogno. Wille è la volontà, il fondamento della rappresentazione, ed è quindi la realtà ultima. Ma tra la volontà di Schopenhauer e il noumeno di Kant ci sono alcune differenze: innanzitutto, mentre per Kant il noumeno è inconoscibile, per Schopenhauer la realtà ultima si può conoscere.




Per Schopenhauer, come per Kant, non si può dimostrare l’esistenza del noumeno attraverso processi razionali, dal momento che noi utilizziamo categorie di pensiero che si riferiscono alla realtà fenomenica, e che non reggono, non sono più valide quando si vuole andare oltre e indagare la realtà ultima (Kant fa l’esempio della colomba che ha la pretesa di volare nello spazio).  Ma per Schopenhauer si può in qualche modo percepire e quindi capire il noumeno, e questo è possibile grazie all’intuizione. Se noi chiudiamo gli occhi e ci caliamo nella profondità del nostro.
Karl Marx
Karl Marx nasce nel 1818 in Prussia, in particolare a Treviri, una città della Renania, in una famiglia della borghesia agiata e liberale (il padre, Heinrich, è un noto avvocato). Frequentato il liceo nella città natale, nel 1835 il giovane Marx si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università di Bonn, ma si trasferisce poi a Berlino, dove entra in contatto con la "sinistra hegeliana", costituita da un gruppo di filosofi e discepoli di Hegel formatosi all'indomani della morte di quest’ultimo nel 1831. 
A contatto con il pensiero dei giovani hegeliani, Marx decide di lasciare lo studio della giurisprudenza e si iscrive alla Facoltà di Filosofia, laureandosi a Jena nel 1841 con una tesi sulla filosofia di Democrito ed Epicuro.

Marx inizia a lavorare come giornalista alla “Gazzetta renana” - giornale che verrà soppresso di lì a poco - e nel 1843 redige il primo saggio critico sulla filosofia di Hegel, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, pubblicato solo nel 1927. Sempre nel 1843 si trasferisce con Jenny von Westphalen, la moglie appena sposata, a Parigi, dove rimarrà fino al 1845.
Nella capitale francese entra in contatto con il pensiero socialista di Proudhon, conosce Michail Bakunin, filosofo ed anarchico russo e soprattutto stringe una duratura amicizia con Friedrich Engels, economista e filosofo tedesco, con cui scrive La sacra famiglia, ironica e mordace critica del gruppo di filosofi che si riunisce intorno a Bruno Bauer, filosofo e teologo tedesco. Sempre a Parigi comincia a studiare gli economisti classici e stende i Manoscritti economico-filosofici (1844) che verranno pubblicati nel 1932 e che, insieme con La questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, lo avvicinano al pensiero comunista
Nel 1845 Marx viene espulso da Parigi su richiesta del governo prussiano e si trasferisce così a Bruxelles. Nello stesso anno scrive a quattro mani con Engels L’ideologia tedesca (1845-1846) in cui viene teorizzata la concezione materialistica della storia in opposizione al pensiero di Feuerbach; Marx vi aggiunge, in aspra polemica contro Proudhon, la Miseria della filosofia (1847) . I due filosofi entrano nella "Lega dei giusti", di cui fanno parte artigiani e lavoratori tedeschi, e che nel 1847 diventa "Lega dei comunisti".

Nel 1848 viene pubblicato a Londra il Manifesto del partito comunista, steso da Marx ed Engels per il secondo congresso della Lega; dopo la pubblicazione, Marx viene espulso dal Belgio, avendo disatteso l'obbligo di non diffondere testi ed opere a contenuto politico. Ritorna a Parigi, dove il governo rivoluzionario lo richiama dopo l’esilio, ma nel frattempo i moti rivoluzionari scoppiano anche in Germania, e Marx dunque si reca a Colonia, dove fonda la “Nuova gazzetta renana”.
Tuttavia la repressione della rivoluzione porta da un nuovo esilio, prima a Parigi, poi a Londra. Nella città inglese, Marx vive con la famiglia in condiziona assai disagiate, che non lo distolgono dagli studi di economia politica, condotti nella famosa biblioteca del British Museum. Nel 1850 viene pubblicato il testo Le lotte di classe in Francia, analisi dei moti del ‘48 e del loro fallimento. Nel 1852 pubblica, invece, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, testo sul colpo di stato bonapartista in Francia dell’anno precedente. Tuttavia, Marx ha in cantiere una grande opera, che analizzi l’intera società capitalista e che presenti in forma compiuta tutta la riflessione teorica a fondamento di una rivoluzione della società in senso comunista e proletario. 
Questo testo, intitolato complessivamente Il Capitale, vedrà la luce, dopo diverse revisioni, in periodi differenti:nel 1867 viene pubblicato il primo libro; scritti tra 1869 e 1879, il secondo e il terzo libro verranno pubblicati postumi da Engels nel 1885 e nel 1894. A quest'opera monumentale, determinante nel'influenzare il pensiero filosofico-economico successivo, Marx aggiunge nel corso degli anni i saggi Lavoro salariato e capitale (1849) e Salario, prezzo e profitto (1865)

Accanto allo studio e alle pubblicazioni, Marx si dedica all’attività politica, fondando nel 1864 la Prima Internazionale, per coordinare gli sforzi e l'attività politica del movimento operaio; per affermare la propria linea politica, sarà duro lo scontro con le posizioni dell'anarchico Bakunin, fino all'espulsione del pensatore russo dall'Internazionale stessa. Karl Marx muore nel 1883, dopo il peggioramento della sue condizioni fisica e la morte della moglie Jenny, nel 1881.

Ludwig Feuerbach

Il rovesciamento dei rapporti di predicazione - La filosofia di Feuerbach ha come presupposto teorico e metodologico una critica radicale nei confronti della maniera idealistico-religiosa del rapportarsi al mondo.

Tale maniera secondo il filosofo consiste sostanzialmente in uno stravolgimento dei rapporti reali fra soggetto ed oggetto. L’equivoco di fondo dell’idealismo è quello di fare del concreto un attributo dell’astratto anziché dell’astratto un attributo del concreto. Da ciò il programma Feuerbacahiano di un inversione radicale dei rapporti fra soggetto e predicato instaurati dalla religione e dall’idealismo.

Il pensiero Feuerbachiano


La critica alla religione - Applicando la sua metodologia materialista alla religione, Feuerbach arriva ad affermare che non è Dio (l’astratto) ad aver creato l’uomo (il concreto), ma viceversa, è l’uomo ad aver creato Dio.
Infatti, Dio secondo Feuerbach, è solo una proiezione illusoria di qualità umane. Feuerbach studia ora le modalità dell’origine dell’idea di Dio nell’uomo:

  1. l’uomo ha coscienza di sé non solo come individuo, ma anche come specie. Ora mentre l’individuo da solo si sente debole e limitato, come specie si sente infinito ed onnipotente: da ciò la figura di Dio;
  2. l’opposizione umana tra volere e potere: tale opposizione porta l’individuo a costruirsi una divinità in cui tutti i suoi desideri appaiono realizzati;
  3. il sentimento di dipendenza che l’uomo prova nei confronti della natura: tale sentimento spinge l’uomo ad adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere.



L’alienazione e l’ateismo - Dall’amore per Dio, all’amore per l’uomo. Secondo Feuerbach, a prescindere dall’origine della religione, questa costituisce comunque una forma di alienazione, intendendo con tale termine quello stato patologico secondo cui l’uomo scindendosi proietta fuori di sé una potenza superiore alla quale egli si sottomette. Ma se la religione si configura come un’”oggettivazione” alienata ed alienante, l’ateismo non solo è un atto di onestà filosofica, ma anche un vero e proprio dovere morale. 

Infatti Feuerbach afferma che è arrivata l’ora che l’uomo recuperi in sé i predicati positivi che ha proiettato fuori di sé, in Dio. Di conseguenza il compito della vera filosofia non è più quello di porre il finito nell’infinito, bensì di porre l’infinito nel finito.

sabato 26 ottobre 2019

La vita e le opere di Friedrich Hegel

Friedrich Hegel nacque a Stoccarda nel 1770 da un’agiata famiglia borghese. Trascorse un’infanzia e un’adolescenza serene, seguì gli studi di filosofia e teologia all'università di Tubinga e in quegli anni divenne un grande ammiratore della Rivoluzione Francese.
Terminati gli studi divenne precettore prima a Berna e poi a Francoforte. Alla morte del padre si stabilì a Jena dove divenne professore.
Il culmine del suo successo giunse a Berlino, dove esercitò la docenza universitaria. Si spense in questa città nel 1831.

Tra le maggiori opere di Hegel ricordiamo: la Fenomenologia dello Spirito, L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Lineamenti di filosofia del diritto

Hegel e la Fenomenologia dello spirito

La Fenomenologia dello spirito di Friedrich Hegel può essere letta come un romanzo in cui il protagonista-eroe è lo spirito che, dopo travagliate vicende e ostacoli, perviene alla consapevolezza di essere tutta la realtà. È l’apparire dello spirito a se stesso, come ci suggerisce lo stesso titolo dell’opera (fenomenologia viene dal greco e significa scienza di ciò che appare). Ma facciamo un passo indietro.   
Che cosa vuol intendere precisamente Hegel con “spirito”?Con Spirito, Hegel intende l’Assoluto, l’Infinito, chiamato anche Ragione, Dio o Idea: è la totalità del reale in cui i singoli enti del mondo (il finito) sono nient’altro che momenti, parti del tutto infinito. Ma tale infinito non è una realtà statica, bella che data dall'inizio, ma si configura come un processo che si realizza con gradualità e che solo nell'uomo (spirito) acquista piena consapevolezza di sé. Per dirla in altri termini: nella Fenomenologia dello Spirito, Hegel ripercorre il cammino e le varie peripezie che lo Spirito, attraverso la coscienza umana, ha compiuto per uscire dalla sua individualità e riconoscersi come il tutto, unità di soggetto (uomo) e oggetto (le cose del mondo), finito e infinito, interno e esterno. Non a caso Hegel è l’esponente più importante della corrente filosofica chiamata idealismo in cui si nega l’autonomia della realtà che ci appare (fenomenica) ma la si concepisce come il riflesso, un momento, una creazione del soggetto, dello Spirito, dunque dell’uomo. “Tutto è Spirito” dicevano gli idealisti.  
Sarà utile, a questo punto, proporre uno schema riassuntivo delle prime tre tappe della Fenomenologia dello spirito, che analizzeremo punto per punto successivamente e che costituiscono la prima sezione dell’opera:   


  • coscienza:  certezza sensibile, percezione, intelletto
  • autocoscienza: servo-padrone, stoicismo-scetticismo, coscienza infelice
  • ragione: ragione osservativa, ragione attiva, individualità in sé e per sé



Nella coscienza l’attenzione è completamente rivolta verso l’oggetto, l’esterno; nell'autocoscienza predomina invece l’attenzione verso il soggetto, l’interno; nella tappa della ragione si compie infine quell’unificazione tra soggetto e oggetto, interno ed esterno, che sintetizza i due momenti precedenti.   


La Coscienza


La capacità dell'uomo di concepire l'esterno come separato da sé. La coscienza è secondo Hegel la prima tappa dello spirito ed è la forma di basilare rapporto dell’uomo con la realtà: consiste nella sua capacità di concepire l’esterno, il mondo, come esterno e separato da sé.   
Nel momento della certezza sensibile l’uomo crede di essere dinanzi alla forma di conoscenza più indiscutibile e certa, percepisce l’oggetto qui ed ora, e la sua mente non ha ancora iniziato a lavorare sul “questo” che ci sta dinnanzi. Nota Hegel che un oggetto, un tavolo ad esempio, sono tali per noi unicamente quando inquadro e penso ciò che vedo in una categoria, sotto un nome generico che lo identifica (la parola “tavolo”). Ma la certezza sensibile mi restituisce soltanto la percezione di una singolarità senza definizione e, dunque, quella che all'apparenza sembrava la conoscenza più piena, si rivela vuota, astratta.
Allorché si passa da un sapere immediato ad uno mediato (dalla mia mente) ci si imbatte nel momento della percezione. L’oggetto smette di essere qualcosa di indefinito ma associo ad esso una serie di qualità (il tavolo lo riconosco marrone, pesante, grande ecc.). Il “questo” precedente diventa dunque la “cosa”, ovvero un’unità a cui io stesso riferisco le molteplici qualità sensibili che percepisco. Mi rendo conto che è la mia coscienza a realizzare quell'unificazione dei dati dell’esperienza che altrimenti risulterebbero vuoti e indefiniti.
Nel momento dell’intelletto l’oggetto non viene più percepito in quanto tale ma unicamente come fenomeno riconducibile ad una legge fisica. È ciò che avviene nell'atteggiamento scientifico, ancora un gradino più alto di conoscenza. Ed Hegel fa notare, a questo punto, come siamo noi stessi ad associare alla natura delle leggi fisiche. È la nostra mente che immagazzina e comprende i fenomeni percepiti attraverso delle leggi da noi fissate. Così, con l’intelletto, si arriva ad un primo superamento dell’opposizione soggetto-oggetto, non c’è più un soggetto che conosce ed un oggetto che gli è esterno, non si tratta più di due realtà opposte. La coscienza dell’oggetto esterno, nel momento in cui l’intelletto risolve il fenomeno nelle leggi da lui stesso stabilite, diventa coscienza di sé, cioè autocoscienza.

L'Autocoscienza

Con la tappa dell’autocoscienza l’oggetto viene dunque percepito come non distaccato dal soggetto: ma siamo ancora in una forma embrionale di conoscenza di sé. Per delineare il percorso di consapevolezza della coscienza, ora Hegel si allontana dall'ambito gnoseologico (conoscitivo) per abbracciare una prospettiva storica che riguarda le più svariate esperienze umane (la società, la storia della filosofia, la religione). L’autocoscienza è sicuramente la parte più nota e contiene le figure più celebri della Fenomenologia dello spirito, quella del servo-padrone

La Ragione


Friedrich Hegel definisce la ragione come: “la certezza di essere ogni realtà”: l’uomo, dal Medioevo al Rinascimento, ha acquisto la consapevolezza (ma non lo sa ancora nella maniera più piena) di essere il tutto, ha superato la scissione soggetto/oggetto. La ragione a questo punto ricerca se stessa nella realtà.   

  1. Lo fa in primo luogo osservando la natura alla ricerca delle sue leggi. È il momento dello sviluppo della scienza moderna: è la ragione che, fissando le leggi, cerca di riconoscersi nella realtà oggettiva che le si presenta davanti (ragione osservativa).
  2. Nel secondo momento è la ragione stessa che cerca di imporsi alla realtà: dall’osservazione oggettiva si passa all’azione soggettiva (ragione soggettiva). Secondo Hegel, in questa fase la ragione comprende come l’unità di soggetto-oggetto non è qualcosa di già esistente, semplicemente da contemplare, ma deve essere realizzata. Ma è un tentativo destinato a fallire in quanto corrisponde ad un progetto individuale. Il voler dare lezioni al mondo, piegando la realtà concreta a dei propositi di moralizzazione, è un tentativo vano. La ragione non è qualcosa di esterno alla realtà, non corrisponde al “dovrebbe essere” ma a ciò che è.
  3. Nel terzo e ultimo momento (individualità in sé e per sé) Hegel dimostra come l’individuo, pur nel momento in cui ricerca in se stesso delle leggi che risultino valide per tutti o si pone nella condizione di giudicarne la presunta bontà, non riuscirà mai ad elevarsi all’universalità.
Il pensiero di Friedrich Schelling

La natura deve avere la sua autonomia

Friedrich Schelling aderisce alla filosofia di Fichte perché ha trovato il fondamento incondizionato della realtà, principio da cui dipende ogni conoscenza: l’io puro, assoluto, libero. Secondo Schelling, Fichte ha colmato i vuoti della filosofia kantiana.
Inizialmente egli ha interessi naturalistici, egli vuole recuperare la natura perché essa deve essere una soggettività. Rifiuta la nullificazione della natura di Fichte, ponendo l’io infinito rende nulla la natura.


Critica:

  • l’assoluta soggettività della sostanza (Fichte)
  • l’assoluta oggettività della sostanza (Spinoza).


Filosofia di Schelling



La natura è un’unità indifferenziata di natura e spirito, non è limitata dall'attività dell’io, ma assume una validità oggettiva. Natura e spirito sono due facce dello stesso principio assoluto: l’assoluto si pone inconsciamente come natura e poi consciamente come spirito. La natura è un organismo dotato di finalità, aperto ad ogni sviluppo. Essa ha un carattere teleologico e non meccanico, perché le singole arti della natura si articolano nel tutto. La natura ha un’anima e una forza vivificatrice. Attraverso una serie di gradi si attiva in forma sempre più perfette. Da forme inorganiche e organiche: spirito pietrificato in divenire.
Il finalismo è nella natura stessa (finalità oggettiva e immanentista). Schelling rifiuta il meccanicismo e il finalismo teleologico. Il finalismo di Schelling è un carattere oggettivo della natura, interno ad essa. Considera la natura come un tutto vivente, è attività creatrice spontanea.

Fasi del suo pensiero




La natura per attuare se stessa si dialettizza in 2 principi di base: astrazione e repulsione. Nella natura agiscono due tendenze opposte. Ogni fenomeno è l’effetto di una forza che è limitata, condizionata dall’edizione di una forza opposta: la natura agisce attraverso la lotta di forze opposte. Quando esse sono in equilibrio si ha la produzione di una forma naturale. La ricomposizione dell’equilibrio da vita a forme naturali sempre migliori.

Vi sono 3 forze: magnetismo, elettricità, chimismo (chimica). In ogni livello esse agiscono. Abbiamo nel I livello il mondo inorganico, nel II livello la natura, nel III livello il mondo organico. La natura si configura come uno spirito inconscio che si evolve verso la conoscenza e progressivamente si smaterializza facendo emergere lo spirito. La natura appare come la preistoria dello spirito, che cerca se stesso attraverso le cose. Come la pianta si chiude nel fiore così tutta la Terra si chiude nel cervello dell’uomo.

Lo spirito e la natura


Secondo Schelling,


  • Natura: spirito visibile
  • Spirito: natura invisibile
Tra la natura e lo spirito è esclusa ogni distinzione sostanziale (non più dualismo tre Io e non Io). Esiste differenza di grado perché la natura è spirito inconscio mentre lo spirito è superiore perché è vita spirituale conscia. Lo spirito riconoscendosi come rappresentazione inconscia della natura tende a ricostruire l’unità dell’assoluto mediante l’attività teoretica, pratica ed estetica. Questa identità non è mai pienamente raggiungibile.

martedì 15 ottobre 2019

Lidealismo etico di Fichte

Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) fa proprio il monito del filosofo tedesco Lessing che aveva riposto il valore della verità  non nel suo possesso ma, nello sforzo costante per raggiungerla. Fichte attribuisce a tale pensiero un significato morale, interpretandolo nel senso che "non vale nulla esser liberi; cosa divina è diventarlo!".


La vita stessa di Fichte può essere vista come l'esemplificazione di tale principio: essa appare infatti come uno sforzo per diventare, che il filosofo persegue a partire dalla giovinezza. Nato da una famiglia di contadini poverissimi, pareva destinato a fare il guardiano di oche. Ma il ragazzo sognava di diventare un giorno "pastore di anime". Aiutato economicamente da un signore del villaggio, riesce a frequentare l'università. Si reca a Koenisberg per ascoltare le lezioni di Kant e fargli leggere il manoscritto della sua prima opera, il Saggio di critica di ogni rivelazione, che comparso, anonimo nel 1792, venne scambiato per un'opera kantiana.


L'infinità dell'Io

Kant aveva riconosciuto nell’ Io penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Ma l’Io penso suppone già data l’esistenza ed è quindi un atto di autodeterminazione esistenziale; esso è quindi attività, ma limitata dall’intuizione sensibile. Fiche sostiene, che se l’Io è l’unico principio, non solo formale ma anche materiale del conoscere, se alla sua attività è dovuto non solo il pensiero della realtà oggettiva, ma questa realtà stessa nel suo contenuto materiale, è evidente che l’Io non è solo finito, ma anche infinito.
Per Kant quindi l’Io è finito, perché limitato dalla cosa in sé; l’Io kantiano è il principio formale del conoscere. Per Fiche l’Io è infinito in quanto tutto esiste nell’Io e per l’Io; l’Io fichtiano è il principio formale e materiale a cui si deve non solo la forma della realtà, ma la realtà stessa.

Il pensiero di Fichte: deduzione di Kant e Fichte


La deduzione di Kant è trascendentale, cioè giustifica le condizioni soggettive della conoscenza, mentre quella di Fiche è assoluta perché deve far derivare dall’Io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. La deduzione di Kant implica sempre un rapporto tra l’Io e l’oggetto fenomenico, mentre quella di Fiche pone un soggetto e l’oggetto fenomenico in virtù di un’attività creatrice, cioè di un’intuizione intellettuale. La dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo principio l’intero mondo del sapere, ma non deduce il principio stesso della deduzione, che è l’Io.

La Dottrina della scienza e i tre principi



Il concetto della Dottrina della scienza è quello di un sapere che mette in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Il principio della dottrina della scienza è l’Io o L’Autocoscienza. Noi possiamo dire che qualcosa esiste solo in rapporto alla nostra coscienza. La coscienza è tale solo in quanto è coscienza di se medesima, ossia autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell’essere e l’autocoscienza è il fondamento della coscienza. La prima dottrina della scienza è il tentativo di dedurre dal principio dell’autocoscienza la vita teoretica e pratica dell’uomo. Il primo principio di questa deduzione è ricavato dalla legge d’identità (A=A). Ma questa identità implica un principio ulteriore che è l’Io. Se A è dato, deve essere uguale a se stesso, e la sua esistenza dipende dall’Io che la pone, poiché senza l’identità dell’Io (Io=Io), (A=A) non si giustifica. Quindi il rapporto d’identità è posto dall’Io e non esiste se non si pone l’Io=Io, dato che l’Io non può affermare nulla senza prima affermare la sua esistenza. Il principio supremo del sapere è quindi l’Io, che si pone da se, dato che è autocreatore. L’Io è ciò che egli stesso si fa ed è allo stesso attività agente (Tat) e prodotto dell’azione stessa (Handlung). Quindi il primo principio sostiene che l’Io si identifica come attività infinita ed autocreatrice, il secondo stabilisce che l’Io pone il non-io (l’Io, oltre ad opporre se stesso, oppone qualcosa che gli è opposto, e che comunque, dato che è posto da lui, è in se stesso). Il terzo principio mostra come l’Io, avendo posto il non-io, è limitato da esso, come quest’ultimo è limitato dall’Io. L’Io oppone nell’Io, all’io divisibile (molteplice e finito) un non-io divisibile (molteplice e finito).

Idealismo fichtiano

Questi tre principi stabiliscono l’esistenza di un Io infinito, attività libera e creatrice, l’esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), la realtà di un non-io, cioè l’oggetto, che si oppone all’io finito. Fichte sostiene che esiste un Io, che per poter essere tale, deve presupporre il non-io, trovandosi ad esistere come io finito. Quindi la natura non è una realtà autonoma ma esiste per l’Io e nell’Io. Quindi l’Io risulta finito ed infinito allo stesso tempo: finito perché limitato dal non-io ed infinito perché il non-io, cioè la natura, esiste solo in relazione e dentro l’Io. L’Io infinito non è diverso dall’insieme degli io finiti nei quali esso si realizza.